Il petrolio al tempo del corona virus

di Luca Pardi (Consiglio Nazionale delle Ricerche. ASPO-Italia)

Del petrolio si parla solo quando il suo prezzo sale molto o scende molto. Invece se ne dovrebbe parlare tutti i giorni, a prescindere dal prezzo e dagli eventi che lo determinano, per il semplice fatto che il petrolio è la più importante di tutte le fonti energetiche. La fonte senza cui la nostra civiltà industriale globalizzata non esisterebbe. Se non ci fosse petrolio saremmo nelle condizioni delle società umane fino al XVIII secolo. Si coltiverebbero i campi con molto lavoro umano e l’aiuto degli animali da tiro, si laverebbero i panni nei torrenti, la vita urbana sarebbe per pochi, e la maggior parte di noi vivrebbe in ambiente rurale. La popolazione globale non avrebbe mai raggiunto i livelli odierni. Estrapolando il tasso di crescita all’inizio del XVIII secolo, quando la popolazione mondiale era di circa 700 milioni di persone, saremmo arrivati alla popolazione attuale fra due secoli e mezzo. Ma è difficile immaginare che la popolazione avrebbe mai potuto decuplicare se non si fossero utilizzati i combustibili fossili. Provate ad immaginare il nostro pianeta, ma senza carbone (che è la fonte energetica della prima rivoluzione industriale), petrolio e gas. Il commercio in terra si farebbe su strade lastricate in pietra, o sterrate, con carri trainati da animali da tiro. Via mare il commercio si svolgerebbe con le navi a vela. Il grano, coltivato localmente, mietuto a mano e trebbiato in modo tradizionale, verrebbe macinato al mulino (a vento o ad acqua). Ci vestiremmo di fibre naturali. La farmacopea sarebbe poco più di quello che probabilmente trovate in erboristeria e la mortalità sarebbe alta, specialmente alla nascita e nei mesi successivi. I metalli utilizzati sarebbero rimasti quei pochi che abbiamo utilizzato dall’antichità, faticosamente estratti a mano dalla crosta terrestre: il ferro, il rame, lo stagno, il piombo, il mercurio e i metalli preziosi.1 Continuo? Non importa, è chiaro.

La nostra civiltà globalizzata dipende dal petrolio e ovviamente anche dal gas e dal carbone, ma è il petrolio la condizione necessaria per la disponibilità di tutte le altre risorse energetiche e non energetiche. L’energia è la madre di tutte le risorse, perché è l’energia che rende disponibili tutte le altre risorse, i metalli, gli altri minerali, l’acqua estratta dalle falde, i fertilizzanti per l’agricoltura e così via, e il petrolio è la più importante delle risorse energetiche. L’anello del potere che controlla tutti gli altri.

                  Il petrolio, come le altre fonti fossili e tutte le risorse minerali, è una risorsa non rinnovabile, cioè data in una quantità limitata. Il problema di questo tipo di fonti è quindi che non sono eterne, progressivamente nel tempo si esauriscono. La produzione cresce, poi rallenta, raggiunge un picco, ed inizia a declinare. C’è una curva che descrive questa dinamica, quella del Modello di Hubbert che riporto qui sotto.2

Il picco, descritto da questo modello, non è una teoria, è un fenomeno osservato in migliaia di campi petroliferi nel mondo e ormai in oltre sessanta paesi che avevano qualche dotazione nazionale di petrolio, inclusa l’Italia. Non abbiamo ancora superato il picco di tutti i tipi di petrolio a livello mondiale. Ma nel 2008 abbiamo superato il picco della categoria di petrolio più conveniente e facile da estrarre, quello che in gergo si chiama “petrolio convenzionale”. Praticamente la categoria che ha alimentato il sistema industriale per oltre un secolo. È ormai abbastanza chiaro (anche se raramente riconosciuto) che il picco del convenzionale, fu una delle componenti scatenanti della crisi economico- finanziaria del 2007-2008. L’effetto visibile di questo picco è stato però apparentemente limitato. Confesso di esserne stato sorpreso anche io. Il sistema capitalistico ha avuto una reazione molto vitale ed è riuscito a mascherare l’effetto dell’inizio del declino di questa categoria di petrolio a buon mercato, sostituendola con altre, dette non convenzionali, in primis il famoso shale oil (o tight oil) che viene prodotto attraverso la tecnica della fratturazione idraulica (fracking), prevalentemente negli Stati Uniti. Queste categorie di petrolio sono considerevolmente più costose del convenzionale, ma hanno comunque servito allo scopo di soddisfare la domanda crescente di combustibili liquidi. Molti osservatori del mercato petrolifero erano, da tempo, in attesa di una prossima resa dei conti finanziaria per questa nuova industria petrolifera che opera con una grande esposizione debitoria. Varie considerazioni di natura politica, finanziaria, economica e tecnologica rendono la questione piuttosto complessa e difficili le conclusioni su questo tema. In particolare è difficile fare previsioni precise su quando ci dobbiamo aspettare il picco di tutte le categorie di petrolio, che comunque non dovrebbe essere molto lontano nel tempo. Questo dipende dal grado di offuscamento delle informazioni sulla reale consistenza delle riserve petrolifere. Queste ultime sono infatti considerate segreto industriale da parte delle grandi aziende private e segreto strategico da parte dei paesi produttori. È naturale che l’informazione sia a dir poco limitata.

La crisi della COVID-19 ha tratto tutti d’impaccio determinando un collasso del prezzo del petrolio dovuto a sua volta al calo repentino della domanda indotto dal lockdown generalizzato, e dalle previsioni fosche sullo stato dell’economia nei prossimi anni. È noto infatti che prezzo del petrolio e crescita economica sono strettamente legati l’uno all’altra. I due principali riferimenti del mercato petrolifero il WTI (West Texas Intermediate) e il Brent hanno subito un crollo. Mentre scrivo, 20 aprile 2020, il WTI è quotato meno di 15$ al barile (era a 63$/b il 3 gennaio), mentre il Brent è a 27 $ al barile (68$/b il 3 gennaio). Ma ci sono produttori che vendono a prezzi bassissimi; il Western Canadian Select, una miscela di olio pesante di scarsa qualità (tratta dalle sabbie bituminose) è offerto a 2,8 $ al barile.3 Negli USA qualcuno ha proposto che il governo paghi i produttori per tenere il petrolio nel sottosuolo.4 Federazione Russa e Arabia Saudita e altri paesi produttori stipulano accordi per un taglio sostanziale della produzione in modo da sostenere i prezzi.5 È probabile che in queste condizioni le imprese del fracking non possano reggere se non con aiuti di stato. Fatto che sarebbe almeno singolare, ma non nuovo, nel paese leader del libero mercato. I depositi strategici e tattici (civili e militari) sono pieni, le petroliere a giro per il mondo sono cariche, in pratica il sistema di stoccaggio è saturo. Siamo in una situazione in cui le categorie più costose di petrolio diventano economicamente insostenibili, ma nella quale anche i grandi produttori come Russia e Arabia Saudita, che hanno costi di estrazione molto inferiori allo shale USA, ma la cui esistenza dipende dal reddito petrolifero, incontrano problemi molto seri. Stimo che ci sia fra 500 milioni e un miliardo di persone, dei 7,7 miliardi che vivono su questo pianeta, la cui vita dipende, direttamente o indirettamente, dal funzionamento dell’industria petrolifera. Se questo reddito si riduce, tutte queste persone hanno problemi. Non è quindi solo un problema dei petrolieri o degli sceicchi del Golfo. I paesi del Golfo Persico commerciano petrolio (e gas, come il Qatar) in cambio di acqua. Non direttamente acqua, intendiamoci, ma comprando all’estero la maggior parte dei prodotti alimentari che non possono produrre in casa loro. Petrolio per grano insomma. Se il reddito petrolifero diminuisce sensibilmente sono nei guai. C’è un dato interessante che riguarda i paesi produttori ed esportatori di petrolio. Si tratta del “prezzo di pareggio fiscale” (Fiscal Breakeven Oil Price) che è:

Il prezzo minimo del barile di cui il paese esportatore ha bisogno per soddisfare la propria spesa mantenendo in equilibrio il bilancio. Prezzi inferiori a questo minimo risulterebbero in un deficit di bilancio a meno di politiche restrittive del governo.

La tabella che segue riporta il prezzo fiscale di pareggio del petrolio (in dollari al barile) per alcuni paesi esportatori rilevanti, negli anni 2018 e 2019 (l’ultima colonna riporta la produzione media del paese del 2018, in milioni di barili al giorno. Mb/d). Da questa tabella si vede che alcuni di questi paesi, e in particolare l’Arabia Saudita che è uno dei maggiori produttori di petrolio del mondo, con i suoi 12 milioni di barili al giorno, già con i prezzi del barile fra i 50 e i 70 dollari (i prezzi dei due principali riferimenti sono riportati in testa alla tabella) avevano dei problemi di budget.

I combustibili fossili coprivano nel 2018 l’85% del consumo di energia primaria nel mondo ed è così da molti decenni. Da decenni sappiamo che i principali problemi ecologici mondiali sono legati all’uso di queste fonti energetiche. Non ci sono soltanto le emissioni di gas climalteranti, ma anche molti altri comportamenti che hanno impatti sugli ecosistemi terrestri e ne modificano processi che si sono autoregolati in miliardi di anni di evoluzione biologica e geologica. Tali impatti sono legati al modo di produrre cibo, al consumo di acqua dolce, alla perturbazione di tutti i cicli bio- geo- chimici, all’immissione negli ecosistemi di materiali e sostanze aliene alla biosfera (inquinanti di vario tipo, plastiche, isotopi radioattivi, amianto), e così via. I due effetti principali di questo nostro agire è il cambiamento climatico e la progressiva riduzione di integrità della biosfera. Gli ambienti terrestri, di acqua dolce e marini sono sottoposti da due secoli, ma in modo accelerato da qualche decennio, ad una pressione antropica costante e crescente, che riduce la diversità genetica e funzionale degli ecosistemi. Si stima che l’Indice di Integrità della Biosfera sia attualmente intorno all’80% del valore preindustriale, preso come riferimento.6,7 Sappiamo inoltre che gli impatti antropici sui processi di cui abbiamo accennato sopra, interagiscono fra loro, attraverso vari meccanismi più o meno complessi, che amplificano gli effetti stessi. La crescita della popolazione e dei consumi, resa possibile dall’uso dei combustibili fossili, e del petrolio in particolare, hanno ridotto il resto della biosfera in una condizione di crescente disordine. L’invasione antropica della biosfera è testimoniata da un dato che ripeto pedissequamente da ormai oltre dieci anni (al punto che mi sono venuto a noia): se si prende la biomassa dei vertebrati terrestri (mammiferi soprattutto, ma anche uccelli, rettili e anfibi) la sola biomassa umana ne rappresenta circa il 30%, il 65% è rappresentato dai nostri animali domestici, bovini, suini, ovini, pollame ecc. e solo il restante 5% è biomassa selvatica. Beninteso, si tratta di stime affette da grandi errori, ma il dato è impressionante. Abbiamo ridotto il resto degli animali di maggiori dimensioni o al ruolo di schiavi nei grandi allevamenti industriali, o ad un ruolo marginale nei pochi residui di natura selvaggia. Come dice il divulgatore scientifico che ha scritto molto sul tema delle zoonosi (malattie infettive passate dagli animali all’uomo):

Siamo più abbondanti di qualsiasi altro grande animale (con la possibile eccezione degli animali domestici NdA). In qualsiasi momento ci potrà essere una correzione.8

Affermazione cruda, ma sulla quale vale la pena di riflettere. 

                  Siamo in un momento in cui, se l’economia e la produzione petrolifera non dovessero riprendersi rapidamente ci sarebbero problemi molto seri per le economie di tutto il mondo e ne seguirebbero sofferenze e conflitti. Se invece un rientro rapido da questa pandemia facesse ripartire l’economia, come tutti si augurano nel mondo della politica e dell’informazione, continueremmo lungo il solito percorso che ci ha portati ad esondare, come specie, oltre ogni limite e confine. In attesa di un altro inevitabile colpo come il corona virus, o il picco di tutti i liquidi petroliferi, o qualche catastrofe globale di tipo climatico. Il percorso fra questi due baratri, ammesso che sia praticabile, è stretto. Dovremmo usare quello che resta dell’energia fornita dai combustibili fossili per realizzare una società globale sostenibile o meno insostenibile di quella attuale. Gli ostacoli che si frappongono ad un progetto mastodontico di questo genere non inducono all’ottimismo. Sono ostacoli economici, politici, nazionali e globali, ideologici e culturali, possibilmente etnici e religiosi e in ultima analisi, probabilmente, più profondamente legati alla natura biologica di Homo sapiens. E su questa riflessione, prudentemente, mi fermo.

Riferimenti

(1)            Bardi, U.; Mercalli, L. La terra svuotata: il futuro dell’uomo dopo l’esaurimento dei minerali; Editori Riuniti University Press: Roma, 2011.
(2)            Claudio Della Volpe. Risorse e riserve – prima parte. Risorse Economia Ambiente, 2013. https://aspoitalia.wordpress.com/2013/02/12/risorse-e-riserve-prima-parte/(accessed Apr 20, 2020)
(3)            Oil Price Charts https://oilprice.com/oil-price-charts (accessed Apr 20, 2020).
(4)            Haley Zaremba. Would Trump Actually Pay Oil Producers Not To Pump? https://oilprice.com/Energy/Energy-General/Would-Trump-Actually-Pay-Oil-Producers-Not-To-Pump.html (accessed Apr 20, 2020).
(5)            Petrolio, accordo Opec e Russia per tagliare la produzione. Partecipa anche il Messico https://www.repubblica.it/economia/2020/04/10/news/petrolio_l_annuncio_dell_opec_accordo_per_la_riduzione_produzione-253616825/ (accessed Apr 20, 2020).
(6)            Rockström, J.; Wijkman, A.; Bologna, G. Natura in bancarotta: perché rispettare i confini del pianeta : rapporto al Club di Roma; Ambiente: Milano, 2014.
(7)            Lade, S. J.; Steffen, W.; de Vries, W.; Carpenter, S. R.; Donges, J. F.; Gerten, D.; Hoff, H.; Newbold, T.; Richardson, K.; Rockström, J. Human Impacts on Planetary Boundaries Amplified by Earth System Interactions. Nat Sustain 2020, 3 (2), 119–128. https://doi.org/10.1038/s41893-019-0454-4.
(8)            Bassets, M. David Quammen: “Somos más abundantes que cualquier otro gran animal. En algún momento habrá una corrección” https://elpais.com/ciencia/2020-04-18/somos-mas-abundantes-que-cualquier-otro-gran-animal-en-algun-momento-habra-una-correccion.html (accessed Apr 20, 2020).

Immagine di Roy Luck distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione, presa da Climate Visuals